Scrivere il genere: indicare le marche delle armi da fuoco?

La 44 Magnum dell’ispettore Callaghan, la Walter PPK di James Bond, la Beretta di ordinanza, le Colt da far west, le mitragliatrici da guerra come gli Uzi, i Kalashnikov, gli M-16. Parole, aziende, modelli conosciuti da tutti.
Ma quando in una storia compare un’arma da fuoco, è davvero opportuno indicarne marca e modello?
Ci sono pro e contro.

Originalità

Nella scrittura di genere, la passione per i dettagli, le marche, i nomi specifici degli oggetti che entrano in scena, è qualcosa di noto, genera nel lettore un certo fascino, è una tecnica efficace usata a lungo e proprio per questo è scaduta nell’abuso. Perché qualunque cosa, per quanto gradevole, quando è usata troppo, e male, scema nel cliché.

L'addio di Antonio MorescoAntonio Moresco nel 2016 decide di cimentarsi, a suo modo, nel genere (L’addio, Giunti). Il suo protagonista è un poliziotto morto, che lavora nella stazione di polizia della città dei morti. Al capitolo sette questo poliziotto morto vuole mettere in chiaro alcune cose: “Questa è una storia diversa e ve la racconterò in modo diverso […] Non ci troverete neppure le beghe tra i vari corpi di sbirri […] la ricerca del DNA dalle tracce di sangue, di sperma […] i cataloghi delle novità in fatto di balistica […] non ci troverete neppure le marche delle sigarette, delle birre, dei whisky, delle bibite, dei cellulari […] non ci troverete quelle parole e quelle frasi fatte che siete abituati a trovare nei libri polizieschi […] estrassi la calibro 38 […] una SIG Sauer 210 […] una canna calibro 380 ACP […] un secondo proiettile calibro 7,62 […] la sua automatica Heckler & Kock HK4 […] venti cartucce calibro 9×18 millimetri Makarov […] Non ci troverete neanche le marche delle armi […] i nuovi modelli di pistole mitragliatrici, le scanalature delle canne, i calibri dei proiettili, gli impatti devastanti nei tessuti, come si carica un’arma e si cambia un caricatore, diritto, curvo, a tamburo, come fanno quelli che non hanno mai sparato un colpo in vita loro ma vogliono farvi vedere che la sanno lunga e hanno studiato”.
Moresco insomma ha individuato il cliché e lo ha affrontato di petto. E mentre lo faceva ha voluto anche farci sapere che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto usare nella sua storia armi e calibri pertinenti e non banali, come quelli citati nei suoi non-esempi.
Questa è perciò la prima questione da affrontare: mettere o non mettere i marchi delle armi, diventa una scelta che va fatta tenendo conto dei luoghi comuni e delle trappole del genere.

Obsolescenza

Poi c’è un secondo problema.
La questione sui nomi di prodotti, marchi, aziende, è una faccenda annosa nel campo della scrittura, al di là del genere e al di là delle armi. Si rischia di costruire una storia troppo “pop”, i cui dettagli comunicano tanto ai contemporanei, ma ben poco a chi legge dopo (anche) pochi anni. Il rischio è quindi che i lettori e gli spettatori del futuro trovino difficoltà a decifrare i riferimenti di cui lo scrittore ha costellato il testo.
Quando nel 1991 esce American Psyco, Bret Easton Ellis farcisce la narrazione con dettagli del suo tempo. Cita le cravatte di Hugo Boss, i soprabiti di Kaiserman, il Late Night di Letterman, i Genesis, il McDonald’s, i televisori Blaupunkt, il whisky J&B, gli abiti di Ermenegildo Zegna. Ogni pagina è zeppa di riferimenti alla cultura di quel preciso momento storico. Qualcosa, molto, sopravvive ancora oggi. Tanto altro è scomparso.

Superwoobinda di Aldo NoveI personaggi di Aldo Nove in Woobinda (uscito nel 1996, riproposto da Einaudi in versione ampliata nel 1998 come Superwoobinda) hanno un rapporto peculiare con le marche: uccidono i genitori perché usano un bagnoschiuma assurdo, di marca Pure&Vegetal anziché Vidal, adorano i cellulari Sharp, Pioneer ed Ericsonn, guardano le ragazze di Non è la Rai: Ambra, Pamela, Miriana, Roberta ma soprattutto Mary, della quale hanno perfino il quaderno (lo avevo anch’io, proprio di Mary).
È una scrittura immersa nel tempo di un preciso momento storico.
Questo rischio di scrittura “pop” si corre anche con le armi? Non è detto.

Mary PattiAll’ingresso della fabbrica Beretta, a Gardone Valtrompia (BS), spicca un pannello che, a uso dei turisti statunitensi, affianca la storia dell’azienda a quella della superpotenza americana. Il primo documento ufficiale attesta che Mastro Bartolomeo Beretta consegnò all’arsenale di Venezia numero centottantacinque canne da archibugio nel 1526, quando il territorio nordamericano non era ancora stato neppure esplorato.
Senza voler andare così indietro nel tempo, si può dire che la Colt 1911, la pistola semiautomatica di ordinanza dell’esercito USA fino al 1986, ancora oggi viene utilizzata (con leggere variazioni) da molti corpi speciali fra cui lo SWAT della polizia di Los Angeles; è stata progettata da quel genio che era John Browning, proprio nel 1911. E sembra che continuerà a svolgere il suo compito per molti decenni ancora, forse per secoli.

Colt 1911

john f kennedyIl fucile utilizzato per l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, nel 1963, era un Carcano mod. 91 di origine italiane (91 sta per 1891). Era il fucile d’ordinanza del nostro esercito durante la Prima Guerra Mondiale. Alla fine del conflitto una buona parte del surplus militare fu venduto a privati in giro per il mondo, in particolare negli USA, dove la sua precisione e affidabilità vennero da subito apprezzate.
Anche il terrorista responsabile della strage di Strasburgo del 2018 usò un’arma antica: un revolver St. Etienne, progettato nel 1892, arma d’ordinanza dell’esercito francese nella Prima Guerra Mondiale, uscito di produzione nel 1924. La rivoltella, in un calibro 8mm ormai desueto, ha permesso comunque a quel criminale di ferire e anche uccidere molti innocenti, tra cui Antonio Megalizzi e Barto Pedro Orent-Niedzielski, giovani reporter che si trovavano a Strasburgo per seguire la plenaria del Parlamento Europeo, nell’ambito del progetto Europhonica, una rete europea di radio universitarie.
Un altro terrorista, quello responsabile della strage di Berlino del 2016, fuggito in Italia e qui ucciso nel corso di uno scontro a fuoco fuori Milano, usava una pistola Erma Werke EP552 calibro 22, risalente al secondo dopoguerra e sviluppata sul modello della Walter PPK (ovvero la pistola di James Bond, entrata in produzione nel 1931).

Le aziende che producono armi sono quindi più o meno sempre le stesse, da decine se non centinaia di anni, e quando anche falliscono o chiudono, le armi prodotte continuano a circolare e a essere (purtroppo) utilizzate. Perfino molte armi della prima guerra mondiale, come abbiamo visto, sono ancora disponibili e funzionati. Inoltre i progetti d’inizio ’900, da quando sono scaduti i brevetti, vengono replicati in veste aggiornata dalle principali aziende del mondo, perché sono ancora progetti validi. La Colt 1911, ad esempio, viene prodotta attualmente in decine di paesi e in centinaia di varianti, ma non bisogna pensare che sia, come per le auto, solo una questione di omonimia. Le odierne Alfa Romeo Giulia e Giulietta, nulla c’entrano con quelle degli anni sessanta, e le Volkswagen Golf, prodotte dal 1974 sempre con lo stesso nome, non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. Invece le Colt 1911 prodotte oggi, salvo particolari assolutamente secondari, sono identiche a quelle prodotte 108 anni fa.
Quindi il rischio di obsolescenza delle armi citate nelle nostre storie è basso se non addirittura inesistente, a meno che scegliamo di citare un’arma appena costruita, magari di moda ma destinata a scomparire, un fenomeno passeggero ed estemporaneo. Se invece ci orientiamo su armi di larga diffusione, come appunto Glock, Sig Sauer, Smith & Wesson e via dicendo, possiamo stare tranquilli per decenni, se non addirittura per secoli.
La questione si sposta quindi su quale arma scegliere, e come sceglierla. Argomento sul quale sarà il caso di tornare.

Copertina Delitti e castighi[Questo e molti altri argomenti simili sono approfonditi nel mio libro Delitti e castighi, Metodi di indagine e balistica raccontati da un ex poliziotto ad uso di scrittori e appassionati di cronaca nera, Dino Audino Editore, prefazione di Giancarlo De Cataldo. Lo trovi in libreria, su Amazon, ibs e gli altri internet book store]

Scrivere il genere è uno svelamento.
Di come funzionano (davvero) le indagini, di cosa accade (davvero) quando si usa un’arma da fuoco